Leggete questo articolo, molto interessante sul caso Riccò , l'ho trovato su FB e lo ritengo molto pacato e preciso , senza attacchi frontali ma con una conclusione che fa riflettere
Riccardo Riccò vagava un po’ spaesato tra le sontuose sale di quell’hotel di Malaga. Era il 2007, la sua squadra di allora – Saunier Duval – si apprestava a presentarsi alla stampa internazionale ed io ero un giornalista della principale rivista italiana del settore.
Conoscevo Riccò dai tempi dei dilettanti, quando infinite volte ci eravamo scontrati sulle strade di tutta Italia. Aveva avuto quasi sempre lui la meglio. Era quel che si dice in gergo un “cavallo di razza”: fortissimo in salita, veloce allo sprint, determinato da far paura. Era anche allora chiacchierato, perché più volte ai controlli antidoping era stato trovato con valori del sangue sballati. Di fatto, comunque, continuava a correre dopo le brevi squalifiche che la Federazione gli infliggeva.
Ero a Malaga proprio per intervistarlo: lui aveva fatto il salto di categoria ed era passato al professionismo, io avevo appeso la bici al chiodo e mi ero dedicato alla scrittura. Ci riconoscemmo dopo pochi minuti e, per qualche strano motivo (eravamo entrambi molto giovani e un po’ spaesati in quell’ambiente così raffinato…) trovammo una certa complicità, sicché l’intervista che gli feci non fu un semplice susseguirsi di domande e risposte, bensì una chiacchierata tra vecchi “amici”.
Mi raccontò – lui che era appena sbarcato nel mondo dei campioni – che avrebbe voluto vincere qualche tappa al Giro d’Italia e poi andare al Tour e far saltare il banco. Il tutto entro un paio d’anni. Io rimasi sbigottito: conoscevo la sua “fame”, ma confidavo in una maggiore umiltà. Di fatto riportai ogni virgola di quello che lui disse, il mio articolo venne pubblicato e il direttore del giornale fu molto felice di aver trovato un personaggio così forte da “sparare”, in futuro, in copertina.
Quel “futuro” non tardò ad arrivare. Riccò vinse quello stesso anno una tappa al Giro d’Italia. Ma fu nel 2008 che esplose sportivamente. Proprio al Giro vinse altre due frazioni, tra le quali una eroica sulle Tre Cime di Lavaredo. Stessa cosa la fece al Tour de France, dove sui Pirenei diede spettacolo. Si gridò al fenomeno e io stesso ricordo di avergli inviato un sms di congratulazioni. Inutile negare che emozionò tutti e ricordò Pantani.
La ‘Gazzetta dello sport’, l’indomani, pubblicò il faccione di Riccò in prima pagina: la foto occupava tutta la metà superiore del quotidiano e per un giorno le notizie del calciomercato furono relegate ai piani bassi.
Ma l’entusiasmo durò assai poco: pochi giorni dopo, sempre sulle strade francesi, Riccò venne fermato dalla gendarmeria e condotto in commissariato. L’accusa nei suoi confronti era l’uso di Cera (Epo di terza generazione), una sostanza dopante che il corridore aveva assunto prima della cronometro di Cholet. Di lì a poco il corridore avrebbe ammesso le sue responsabilità. Caduto dal paradiso all’inferno in pochi giorni, gli stessi giornali che lo avevano glorificato ricominciarono con la vecchia storia dei “ciclisti tutti dopati”. Già, perché il caso Riccò ebbe effetti nefasti non solo sul giovane corridore, ma su tutto il movimento, compresi quei professionisti che hanno sempre corso con lealtà. E non va dimenticato che a seguito di quella vicenda la sua squadra chiuse i battenti e decine di persone, tra atleti, tecnici, medici e meccanici, finirono di punto in bianco in mezzo a una strada.
Scontata la squalifica, Riccò tornò alle corse. I suoi colleghi non lo accolsero affatto bene, anzi molto spesso lo accusavano di aver “sputtanato” l’intero movimento. Lui andò avanti, come era giusto, e riprese a vincere con una facilità disarmante. Tuttavia i tifosi non si fidavano: lo scorso marzo, dalle parti di Bologna, gruppi di cicloamatori passavano davanti al camper della sua squadra urlandogli “drogato”, altri invece lo esaltavano come un “campione” riemerso dall’inferno.
Io assistevo curioso alla scena temendo che da un momento all’altro le due fazioni arrivassero alle mani… Lo intervistai l’indomani, chiedendogli cosa si provasse ad essere così amato e odiato allo stesso tempo in uno sport che non prevede tifoserie in stile calcistico. Lui rispose con freddezza dicendo che prima o poi avrebbe dimostrato anche ai suoi contestatori di che pasta era fatto. Disse anche che di lui ci si poteva fidare ciecamente. La stessa sicurezza che gli vidi a Malaga, tre anni dopo. Tuonò prima di congedarsi: “vincerò il Giro d’Italia”.
Da qualche giorno è giunta la notizia che l’atleta si sarebbe fatto un’emotrasfusione. L’avrebbe ammesso lui al seguito di un grave malore dopo un allenamento. Se la cosa fosse vera (pare, infatti, che Riccò abbia prima ammesso e poi smentito) non ci sarebbe di che stupirsi. Non è la prima volta che questo atleta cade nelle maglie dell’antidoping.
Chi frequenta l’ambiente ciclistico sa bene cosa si vociferava da tempo: molti dicevano da mesi che prima o poi ci sarebbe ricascato. Atleti, tecnici, addetti stampa. Nessuno si fidava davvero di Riccò ma naturalmente nessuno ha finora potuto provare la legittimità di certe paure. La presunzione di innocenza naturalmente resta sacrosanta.
Ora i primi ad essere delusi sono i corridori. Conoscendo la “categoria”, posso dire che è complessivamente pulita (anche se le mele marce, come in ogni altro mestiere, non mancano…). I giornali hanno ripreso a sparare raffiche di mitra sul ciclismo. Si è tornato a dire che i corridori sono tutti dopati e pseudo esperti, che di pedali e catene non sanno niente, hanno ricominciato con la vecchia litania: “come puoi fare 200 chilometri al giorno senza prendere droghe?”. Che sarebbe un po’ come chiedere a un manovale: “come puoi lavorare almeno 8 ore al giorno su un’impalcatura senza farti di cocaina?”.
La verità è che il ciclismo molto presto sarà lo sport più pulito, proprio perché è quello dove i controlli antidoping sono martellanti, severissimi. Chi spara su questo sport conosce la regola della reperibilità? Sa che un corridore deve comunicare agli ispettori sanitari ogni suo spostamento, anche minimo? Scommetto di no. Scommetto anche che non gliene importa un accidente di conoscere le regole di questo sport.
Andrea Noè è uno dei “vecchi” del gruppo. Inutile contare i Giri e i Tour che ha disputato e, tanto per capirci, i chilometri che ha percorso in carriera equivalgono all’incirca a una dozzina di “giri della terra” (dalla parte dell’equatore). Sulla sua pagina facebook, l’indomani della notizia su Riccò, ha scritto: “delusione profonda. Viste le condizioni fisiche in cui si trova, viene anche difficile pensare a Riccò in quanto ciclista. NON LO SARA PIU’. Mi viene da pensare alla persona. Gli auguro una pronta guarigione, dovrà pensare a cosa fare per evitare che l’uomo venga divorato dalla sua immagine di atleta. La bici non è tutto. C’è ben altro di più importante. Sono favorevole a pene più severe per la credibilità del CICLISMO”.
Perciò, signori, non sparate sui corridori. Non fate l’errore di generalizzare e non smettete di emozionarvi davanti al viaggio di un uomo sulla sua bici. Quando vi raccontano che sono un branco di “drogati” non credeteci e pensate a voi, ai vostri sacrifici di lavoratori per bene. Anche loro lo sono…
Davide Falcioni
Il caso Riccò!!!
Il caso Riccò!!!
"The Cat"
- matteoreby
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Re: Il caso Riccò!!!
riccò da juniores era soprannominato CARICCO'!!!!!
RIPETO DA JUNIORES!!!
POI è STATO SGAMATO DA UNDER 2 VOLTE PER VALORI ANOMALI...
LA MOGLIE POSITIVA MENTRE è IN FASE DI ALLATTAMENTO...IL FRATELLO DI LEI POSITIVO....
VERGOGNA!!!! POI VIENI A FARE LE GRAFONDO VESTITO DI NERO PER NON FARTI RICONOSCERE....!!! VERGOGNA VERGOGNA VERGONA!!!
RIPETO DA JUNIORES!!!
POI è STATO SGAMATO DA UNDER 2 VOLTE PER VALORI ANOMALI...
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VERGOGNA!!!! POI VIENI A FARE LE GRAFONDO VESTITO DI NERO PER NON FARTI RICONOSCERE....!!! VERGOGNA VERGOGNA VERGONA!!!